Andrea Mantegna
(Isola di Carturo, 1431 - Mantova, 1506)
Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti
1483 circa
Tempera su tela
Acquisto, 1824
Cristo è disteso sulla nuda pietra, semicoperto da un lenzuolo, nel quale fra poco sarà avvolto per essere deposto nel sepolcro. È stato unto con gli olii profumati del vasetto accanto al cuscino. Le ferite sono state pulite dal sangue, ma la carne bucata dai chiodi rimane slabbrata; le mani mostrano il dorso con le piaghe e i piedi sporgono dalla pietra, spingendo in primo piano tutta la crudezza della Passione.
Con la sua forte presenza Cristo occupa quasi tutta la superficie della tela. In fondo si intravede una parete spoglia e a destra un'apertura verso l'oscurità.
L'estremo saluto è affidato a tre personaggi, relegati nell'angolo a sinistra: Giovanni Evangelista con le mani intrecciate e il viso segnato da rughe di dolore; la Madonna, anziana, con la bocca piegata dal pianto; la Maddalena, di cui si scorgono solo il naso e la bocca, aperta in un grido straziante. Le riflettografie, che rivelano il disegno sottostante, hanno mostrato che le figure dei dolenti fin dall’origine furono concepite così tagliate e i margini non dipinti della tela confermano che non ci furono decurtazioni.
Mantegna usa appositamente un'inquadratura ravvicinata, e per questo tanto coinvolgente, di un Cristo in audace prospettiva: in quest’opera raggiunge l'apice delle ricerche intorno alla figura scorciata, riprendendo un tema già affrontato nell’oculo della Camera degli Sposi a Mantova, nota per il virtuosismo dei putti visti da sotto in su. Mantegna applica con sapienza le regole prospettiche, ma, per giungere al risultato desiderato, effettua alcune modifiche, ingrandisce, per esempio, la testa affinché non risulti più piccola dei piedi in modo che Cristo mantenga la giusta dignità. Sono fondamentali eccezioni a ciò che la teoria imporrebbe, efficaci per consegnare ai posteri un'immagine di straordinaria forza.
Anche la scelta della particolare tecnica pittorica è funzionale all’accrescimento del pathos: si tratta infatti di una tempera magra in cui i colori, uniti a colla animale, sono stesi su una sottile preparazione e resi volutamente opachi e spenti anche grazie all’assenza di verniciatura finale.
La storia del dipinto è complessa e ancora incerta.
Probabilmente fu realizzato intorno al 1483, quando a Mantova giunse un frammento della pietra dell'unzione di Cristo. Sappiamo che, tra i beni conservati nello studio dell’artista alla sua morte, avvenuta nel 1506, c’era un “Cristo in scurto”, cioè in prospettiva, che potrebbe essere identificato con quello di Brera. Se così fosse, l’opera sarebbe rimasta quindi molti anni nello studio del pittore, inducendo per questo alcuni studiosi a credere che si tratti di un dipinto realizzato da Mantenga per la propria devozione privata e non per un committente. La tela entrò in museo nel 1824 dopo che Giuseppe Bossi, segretario dell'Accademia e della Pinacoteca di Brera, l’ebbe ritrovata a inizio Ottocento presso un antiquario di Roma.
Modello figurativo di grande longevità, il dipinto venne ripreso nella pittura di varie epoche, come si può vedere nel Ritrovamento del corpo di san Marco di Tintoretto, esposto nella sala IX della Pinacoteca. Citazioni e suggestioni che si ispirano a quest’opera arrivano fino al Novecento, nel cinema di Pasolini e nelle fotografie di Che Guevara morto, a dimostrazione della potenza di questo autentico, immortale capolavoro.
Fermate tour
Recensioni
Non esistono ancora recensioni
Scrivi una recensione per primo